Uno dei cardini dello Statuto dei lavoratori, che si applica solo alle aziende con almeno 15 dipendenti, è l’articolo 18 dove si afferma che il licenziamento di un lavoratore è valido solo se avviene per giusta causa o giustificato motivo. Secondo le ultime variazioni di quest’articolo, nelle realtà aziendali che presentano 15 dipendenti, se il giudice dichiara illegittimo il licenziamento di un lavoratore, il datore può scegliere tra la riassunzione del dipendente o il vesamento di un risarcimento. Può quindi rifiutare l’ordine di riassunzione conseguente alla nullità del licenziamento.
La differenza fra riassunzione e reintegrazione comporta al dipendente la perdita dell’anzianità di servizio e i diritti acquisiti col precedente contratto, ciò che pima era una tutela obbligatoria: sostanzialmente tutto intorna a un “può”, più volte ripetuto, che ha sostituito, in ogni caso, il “deve”. Infatti, sempre nella nuova versione, il giudice “può” e non “deve” reintegrare il lavoratore, qualora venga accertata la “manifesta insussistenza” del motivo economico per il licenziamento del lavoratore.
Attualmente l’articolo 18 è oggetto di forte polemica, infatti, da un lato, si schierano coloro che lo considerano una conquista intoccabile, nell’ambito del lavoro subordinato, ritenendo che abrogarlo significa indebolire anche le altre forme di tutela dei diritti dei lavoratori. Dall’altro, c’è chi ritiene che si debba rendere più flessibile il rapporto di lavoro stabile, superando il dualismo che caratterizza un diritto del lavoro, generoso con i dipendenti e avaro con i lavoratori precari. Quest’articolo regolarizza sostanzialmente tre tipologie di licenziamento, ecco quali sono le future limitazioni.
Il licenziamento discriminatorio che riguarda quel lavoratore licenziato o allontanato da una ditta non per il fatto che lavora male ma per idee personali che non centrano nulla con il lavoro che possono essere di tipo politico, religioso o altro. In questo caso il giudice ha la possibilità di ordinare il reintegro del lavoratore, o un risarcimento specifico; questa possibiltà viene estesa anche alle aziende fino a 15 dipendenti.
Il licenziamento disciplinare, dovuto ad una violazione significativa di obblighi contrattuali compiuti dal lavoratore, il giudice non è obbligato ad ordinare il reintegro, ma può scegliere tra reintegro e indennizzo economico, da 15 a 27 mensilità).
Infine il licenziamento puramente economico: in questo caso se il giudice si avvede della non presenza di una motivazione puramente economica dell’allontanamento può ordinare un indennizzo economico, da 15 a 27 mensilità.